Il pieno

Lei che era bella da morire ed io che non l’ ho mai fotografata. Non ho fatto in tempo.
Perché alle volte l’amore per qualcosa che viene a salvarti, nasce dall’amore di qualcuno che hai perso.
Così la fotografia, che mi ha salvato.
Così questi dieci anni senza mia madre.
La bambina che ero
La donna che sono.
La figlia che sarò sempre.
Nello specchio del bagno: io bambina seduta sullo sgabello verde e lei in piedi che mi asciugava i capelli accarezzandoli. Parlavamo fitto e ci guardavamo attraverso lo specchio.
Una grande in piedi, una piccola seduta, identiche come due matrioske.
E oggi, ancora oggi, quando mi asciugo i capelli, penso a quel momento privato e intimo. E a lei, che era di una bellezza devastante.
Ricordo tutto.
Ogni attimo.
Ricordo anche una carezza che non racconterò mai, e dei discorsi per il futuro che sapevamo non avrebbe visto.
La mia non è una storia triste, mi spiace contraddire i più.
Io sono una graziata, una baciata dalla sorte.
Perché mi è stata data lei e non un’altra madre.
Loro e non altri.
Erano quelli perfetti.
E io li ho avuti e me li sono goduti. Li ho bevuti assetata e mangiati affamata, i miei genitori.
Non mi sono mai stancata del tempo che avevo da passare con loro.
Erano il top della gamma.
E io una miracolata.
Dieci anni.
Sono tanti.
Ma lei, bhè, lei era lei.
Le risposte per il futuro me le ha date tutte.
E in ogni cosa che faccio, so esattamente cosa mi direbbe, come lo direbbe, come muoverebbe quelle mani così femmine.
Mi hanno tolto dieci anni del suo profumo, ma io lei la ho nel sangue, sulla pelle, addosso.
Ed ora che sono grande, all’amore di figlia si aggiunge l’ammirazione di donna per una donna che sapeva esserlo con tutta l’ innata naturalezza che c’è.
E forse lei è una di quelle femmine che doveva andare via così: nel pieno, dello sguardo, dei colori, dei lineamenti, del fascino.
Nel pieno.
Come quello che ha lasciato: un pieno, non un vuoto.