Il mio burnout
Il tempo sta passando, eppure questa morsa che il Covid ha creato intorno alle nostre vite, alle nostre giornate, alla nostra libertà, non si allarga, non da respiro, non lascia margini di spazio.
Io sono tra quelle persone, che ha vissuto il lockdown con un certo equilibrio, tranne in quelle angoscianti ore di fila fuori dai supermercati, tutti lontani, tutti bardati e, diciamolo, tutti tristi.
Ma poi tornavo a casa, e lì, sono tra le persone fortunate che hanno una situazione felice, serena, perché va detto che il lockdown non è stato uguale per tutti, che non tutti a casa sono sereni, anzi, molti, purtroppo, proprio lì, hanno il loro buco nero, di pericolo, o angoscia, o solitudine.
Era a loro che pensavo quando ero chiusa in casa, e, allora, non ci pensavo proprio a lamentarmi, sentivo di dover avere pazienza e basta, come tutti, di dover compiere un sacrificio a cui tutti eravamo chiamati, e, per non cedere il passo allo sconforto, di continuare a coltivare quello che amavo: scrivere, fotografare, leggere, guardare bei film. Arricchirmi, insomma. ed oggettivamente, l’operazione è riuscita, ho addirittura creato un podcast, avviato una rubrica su youtube sui grandi Fotografi, insieme a Paolo, il mio partner in crime, nella vita e nella creatività.
Tutto bene quindi, a parte l’insonnia di quel periodo, e il piantino la sera guardando il tg o le nuove puntate de “Il Decreto”.
Si, tutto più o meno bene.
Ma poi, poi, sono passati quasi due anni da quel lockdown, sono successe tante cose: le varianti, i vaccini, le guerre ideologiche, le limitazioni, le mascherine, i green pass, i contagi, la paura, le limitazioni, e ancora le limitazioni.
E allora, piano piano, senza che me ne rendessi conto, un poco alla volta, anche io ho ceduto, mi sono stancata, mi sono svuotata, ho gettato la spugna. Come lo so? Perché il vuoto creativo che ho avvertito è stato assordante, perché la totale mancata voglia di mettermi a scrivere, a tratti anche a leggere, e fotografare solo per lavoro, sono stati campanelli di allarme che, per quanto ottimisticamente io continui a ritenere passeggeri, mi si siedono di fronte come una commissione disciplinare, a fissarmi, a chiedermi: allora, quando?
E la cosa assurda è che più sentivo il vuoto, più ampliavo quel vuoto, giustificandomi, dandomi tutte le attenuanti del caso, del momento storico, della pandemia, della mancata totale e selvaggia libertà.
Poi ho scoperto che non ero l’unica, che questo vuoto creativo per me, pratico per altri, emozionale per altri ancora, è nato con la pandemia e coinvolge davvero tutti. Lo hanno chiamato Burnout pandemico, è una sindrome che prevede una gamma estesa e diversificata di sintomi che variano, da persona a persona, da condizione a condizione, da malessere a malessere.
Che sia un problema non globale, certo non diminuisce minimamente il disagio quotidiano di chi ogni giorno deve far i conti con questo scompenso, che pensa che è temporaneo ma c’è.
Per quanto mi riguarda, ad un certo punto mi sono sentita stanca di essere stanca mentalmente, di non aver nulla da offrire a me stessa ed agli altri di quella vivacità mentale e propositiva che è sempre stata la mia migliore amica.
Ecco sì, mi mancava la mia migliore amica, e mi mancavo io, e soffermandomi su questo pensiero, mi sono chiesta: e se pensare che sia solo momentaneo, allunghi la permanenza di questo malessere nei miei paraggi? E se giustificando le mie mancanze, continuassi a mancare e ad essere manchevole?
E se diventassi io stessa, e non più la pandemia, la detrattrice della mia creatività, della mia crescita?
Il pensiero che potessi minimamente contribuire a questa personale, eppur mondiale, battuta di arresto, è stato uno schiaffo a due mani che mi ha svegliato da questo torpore e che mi ha ricordato quello che troppo bene ho imparato in passato: le risalite non cominciano mai con l’attesa di risalire, ma sempre dal primo passo messo. Poi un altro, ed un altro..
Ed allora eccolo qui, il mio primo passo: la condivisione di quello che finora è stato, della mancata voglia, della poca energia, della chiusura.
Ma io non sono questo o, almeno, non ero questo, e voglio tornare ad essere, anche lontanamente quella persona che trovava linfa vitale nella curiosità arricchente.
E magari, questa riflessione, potrà essere vagamente di stimolo per qualcuno, che sta vivendo il suo burnout senza saperlo, o che magari pensa che sia temporaneo o che, peggio ancora, che ormai sia così.
Fate anche voi il primo passetto per la risalita: aprite un libro, guardate un film d’autore, scattate una foto, fate un disegno, una passeggiata, un sorriso.
Il mio primo passo è questo qui.
I’m back.
Maria Giorgio
8 gennaio 2022 at 15:54Hai descritto questi anni con un percorso dove ognuno di noi si rispecchia, hai ragione bisogna riprendere da noi!!!!!! alimentare tutti gli interessi lasciati abbandonati pian piano, magari ricominciare e capire quali possono essere le nostre priorita magari riprendiamo o puo essere che nascano nuovi interessi l importante è che tutto possa essere positivo per la nostra crescita. Grazie per aver ripreso a scrivere dando l opportunita’ di chi legge di fermarsi e riflettere. 🌈
Valentina
14 gennaio 2022 at 7:56Grazie Maria, mi fa piacere che questa mia riflessione possa in qualche modo far soffermare sulle potenzialità che abbiamo per cambiare un pochino le nostre giornate, e che, però, ignoriamo, fagocitati dalla vita che è questa, e non è più la stessa di prima. In tutta sincerità, io non lo so se tutto questo passerà mai davvero, o, semplicemente, dovremo imparare a conviverci, ma nelle nostre cose quotidiane, qualcosina possiamo aggiustarla e davvero sarebbe uno spreco non farlo. Grazie per avermi dedicato del tempo.
A presto
V.